venerdì 18 maggio 2018

Razzismo in rete


L’odio in rete aumenta. Nell’arena digitale dei social network (Facebook e Twitter soprattutto) e delle testate giornalistiche, vediamo un crescente incitamento all’odio razziale.
Nel 2014, l’Unar aveva già riscontrato 347 casi di espressioni discriminanti, di cui 185 su Facebook e il restante su Twitter e Youtube. Si devono anche aggiungere 326 segnalazioni nei link che le rilanciano, per un totale di 700 episodi denunciati di intolleranza.
Nel 2015, con la grande crisi umanitaria che coinvolge i rifugiati in Europa, i numeri sono in crescita. Cospe, con la sua ricerca durata 6 mesi, ha coinvolto attorno al tema dell’odio in rete 4 direttori e caporedattori (Fanpage, Il Tirreno, l’Espresso e il Post”, 3 staff di community management (“Il Fatto quotidiano”, “Repubblica”, “La Stampa”), 3 esperti di social media strategy, 3 blogger di testate nazionali, 2 associazioni che si occupano di immigrazione (Carta di Roma e Ansi) e 2 organismi pubblici di tutela (Unar e Oscad). Dalla ricerca è emerso che le testate, nonostante abbiamo un codice deontologico a cui far riferimento, fanno un uso limitato degli strumenti di moderazione. I commenti riportati , ai margini degli articoli, provengono da autori che vogliono esternare un’emozione o che vogliono prender parte ad una conversazione. Dall’analisi dei discorsi d’odio razzista si possono anche individuare tre “profili” di commentatori diversi: i rassegnati, coloro che sono delusi dal sistema (Paese) che non migliora; gli arrabbiati che con spirito polemico si sfogano verso le istituzioni; gli aggressivi, coloro che usano solo un comportamento verbale denigrante e offensivo.

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